Tempi

Tempi.

A cura di Massimo Carboni, Beat Streuli e Cristoph Gallio, Sedi varie, Civitella D’Agliano. 
01/08/1991 – 31/08/1991

Interno esterno/Dal dentro al fuori, la sala di Franco Nuti

La finestra è un luogo che apre, ma l’apertura è anche una chiusura verso l’interno, tanto più che ciò che l’artista vuole far vivere è l’elemento sospeso, tra visione e introspezione quanto l’accostamento che ci propone con la materia pittorica e il circostante.
Dal dentro al fuori, dal pieno al vuoto.

Guardando l’opera di Franco Nuti, assistiamo a una particolare osmosi fra la bidimensionalità delle opere a parete e la natura visibile dalle finestre; gli incavi delle pieghe dei teli ancorati ai telai delle tele rovesciate che fingono la natura, e viceversa la natura che si vede dalle finestre che prende il posto che attiene alla pittura. 

Assistiamo ad un andamento oscillante da un campo visivo ampio a una visione più intima.
Gli iati delle opere a parete, gli intervalli tra le finestre e le opere che si susseguono, scandiscono il tempo di un percorso dal dentro al fuori che è fatto di pensiero.

“Che cos’è il tempo?
Se nessuno me lo domanda, lo so: se dovessi rispondere a chi me lo domanda, allora non lo so più”.
La riflessione e i processi operativi che essa può innescare devono partire da qui, da questo “non sapere” dichiarato nella famosa affermazione di Sant’ Agostino. 

Il pensiero occidentale si è sempre scontrato con questa radicale difficoltà a fornire una definizione concettuale del tempo. Per questo, il Progetto è dedicato ai tempi, non al “tempo”.
Ci interessano le pluralità, non la singolarità.
Ci interessano i tempi parziali e non quelli totali impigliati nella metafisica dell’assoluto scientifico, filosofico o artistico.
Ci interessano i bruschi capovolgimenti della “freccia del tempo”, i tempi intesi come stratificazione, polifonia, simultaneità e compresenza; non ci interessa il tempo entropico, quello definito come consumo irreversibile dell’energia, come direzione necessaria e deterministica verso la “morte termica”, che d’altra parte nessuna Legge può stabilire univocamente.
Il corpo e la mente non sono forse tanto potenti da saper immaginare una pluralità aperta di tempi che demoliscono ogni fatalistica necessità di distinguere rigidamente un “prima” e un “dopo”? 

“Tempi”, dunque, anche come luogo decisivo attraversato dai conflitti tra la dimensione sociale e quella etica, tra la sfera economica e quella politica. E l’arte non vive forse in una specie di tempo “sospeso”, “libero” dalla necessità dell’irreversibile?
Se l’opera d’arte che si svolge, si proietta e vive nello spazio- impone un ritmo a chi la guarda, e se questo ritmo non può altro che scandirsi nella dimensione temporale, allora questo “tempo ritmico” fa parte integrante dell’opera. 

Altri interrogativi si affollano, attorno ai quali poter lavorare. Esiste un “tempo minimo” per “comprendere” un’opera d’arte? Un quadro, un installazione? Il tempo che si impiega per girare attorno a una scultura non fa forse parte del senso della scultura stessa? L’opera non è anche la traccia immobile del processo della sua factura materiale, della sua formazione?
Ma il Progetto, allora, non può non aprirsi anche ai linguaggi musicali. Esiste una dimensione spaziale della musica? Quali interrogativi si pongono allorché ci confrontiamo con un linguaggio – come quello musicale – in cui la sintassi equivale alla semantica, in cui il tempo che si impiega per suonare equivale al tempo che si impiega per ascoltare?

Tempi intertestuali: ibridare i vari linguaggi artistici significa ibridare i loro tempi differenti. Proprio perchè forse il tempo si può soltanto viverlo, non teorizzarlo.