Franco Nuti, Il segno come parola

Franco Nuti, Il segno come parola.

A cura di Anna Cochetti, Storie Contemporanee, Arti visuali, Scrittura, Società, Roma. 
03/06/2022 – 16/06/2022

Seguendo una via tracciata

Per la mostra nel piccolo e accogliente spazio romano diretto da Anna Cochetti, Franco Nuti si è lasciato guidare dalle suggestioni e dalla sacralità della Chiesa rupestre di Santa Maria in Grotta, a Sessa Aurunca, dove aveva esposto nel 2018. L’artista ha quindi creato un allestimento che invita alla riflessione e alla concentrazione, un luogo in cui memoria e pensiero si intrecciano. Il visitatore è coinvolto in una dimensione che richiama al raccoglimento e all’introspezione. 

L’opera, fulcro della mostra, è un’installazione “circumnavigabile” realizzata in ferro, legno e materiali vari.
Essa affronta temi fondamentali nella ricerca di Nuti: il rapporto tra natura e uomo, la loro interdipendenza e le contraddizioni che ne derivano, aspetti che la storia ci insegna a riconoscere e comprendere.

“Voi, mie parole, tradite invano il morso secreto,
il vento che nel cuore soffia.
La più vera ragione è di chi tace.
Il canto che singhiozza è un canto di pace.”

(Eugenio Montale, So l’ora in Ossi di seppia, 1925)

È nel silenzio profondissimo, assoluto e assorto, metafisico, di una chiesa rupestre che si fonda l’incipit de “Il segno come parola” di Franco Nuti, nell’ora in cui una qualche nascosta verità, di quelle che “non vede la gente nell’affollato corso”, è prossima a svelarsi, evocata dal rito di un magicien, in veste di artista, che ha raccolto pietre e oggetti e resti di oggetti, ha impastato terre e acque, ha dato loro forme iconiche, ha tracciato segni e figure simboliche, ha acceso fuochi ad illuminare il buio. 

E il cammino iniziatico alla ricerca della “Verità” (2022) ha potuto essere intrapreso.
Stanno qui – sottolineati in ogni loro passaggio in un video – l’incipit concettuale e le scelte linguistico-formali che guidano il visitatore alla fruizione dell’installazione site-specific di Franco Nuti per lo spazio romano di Storie Contemporanee, bianco/vuoto contenitore atto ad evocare, per signa, la sacralità rupestre. 

Nella dislocazione tra due spazi e due tempi sono occorsi giorni ed eventi inimmaginabili – quali una pandemia devastante vivi e morti e il sopraffare del sentimento della malattia e della fragile precarietà dell’essere e dell’esistere – che hanno reso ineludibili riflessioni altre, a chi si interrogava, da artista e da intellettuale, sul senso, al tempo stesso direzione e significato, da assegnare alla ricerca della “verità”.
Ritorna dunque Franco Nuti in “Il segno come parola” su alcuni temi nodali della sua ricerca, quali la relazione tra la conoscenza ra­zionale e la conoscenza emotiva nella tensione verso la “verità”, da esercitarsi oggi intorno alla centralità della Natura Naturans e alla funzione che in essa occupa il genere umano, inteso nelle sue di­ verse accezioni, religiose, filosofiche, politiche, economiche, socio­ logiche, psichiche.

“Il punto di osservazione da cui soppesiamo un fenomeno determi­na la dinamica dello stesso”: così l’artista dichiara ad introduzione del suo viaggio di conoscenza sub specie aesthetica, in cui ha scelto di essere accompagnato dalle parole di Epicuro, Lucrezio, Ovidio, ma anche di Marx e Freud.
Laddove le parole sono il segno che costituisce il percorso stesso dell’installazione, costruita come una sorta di spazio sacro – in quanto individuato e definito rispetto al resto, a ciò che è intorno – at­ traverso l’assemblaggio di disegni, carte veline, terrecotte e oggetti, custoditi ognuno in una sorta di essenziale cella o tabernacolo, in cui è posto in essere il processo di conoscenza razionale/emoziona­ le cui l’artista invita, nel silenzio, il visitatore.