Carta in gioco
Carta in gioco.
A cura di Eleonora Minna, Museo Centro studi sulla pittura di paesaggio europeo del Lazio, Olevano Romano.
27/05/2012 – 02/09/2012
La performance "Carta bianca" di Franco Nuti
Nello spazio che finge il teatro, una prospettiva capace di indurre e trattenere gli elementi della memoria, l’opera è un corpo che pulsa.
Nella sequenza successiva l’artista imbastisce un “corpo a corpo” con la carta srotolata sulla parete, tingendola di rosso con la pistola.
Giochi proibiti? Di Eleonora Minna
Giocare con la carta non è mai stato facile: supporto, strumento o mezzo, generalmente minore.
Un insieme di attenzioni più o meno servili dunque, eppure i maestri antichi vedevano in essa il modo migliore per “giocare”, riversando nel disegno quelle attitudini che nella produzione ufficiale non trovavano luogo.
Ecco perché cartoni e disegni preparatori sono sempre stati presi in seria considerazione nello studio del tratto più autentico di un artista; infatti, che si sia trattato di iconografie originali, di spunti personali o di piccole trascrizioni, il disegno è stato storicamente il depositario di tutto ciò.
Ma la carta non si lascia tradurre solo dal segno di una matita: riassumere il supporto nella tecnica è stato un errore che compresero bene le prime avanguardie, spazzandolo via in modo da non dar più luogo ad equivoci.
Carta in gioco è un titolo che lancia una sottile provocazione, la possibilità data al mezzo di dimostrare che non è solo supporto, o un tutt’uno con la tecnica.
Come dire, il medium non è il messaggio e il disegno (l’acquarello, l’incisione), non fa la carta.
A più livelli, e con tecniche diverse, la partita si è giocata tutta sul versante della materia. Questo vuol dire assumere l’oggetto di mostra come problema prima che come strumento: domandare cosa fare sulla carta, vuol dire essere pacifici nelle due dimensioni e trasferirle nella tecnica prescelta.
Viceversa interrogarsi su cosa fare della carta implica che quella partita non è stata risolta.
Un tale approccio infatti avrebbe potuto legittimare anche la sua distruzione: riflessione certo estrema – forse duchampiana -, ma pur sempre coerente.
L’espressione “carta bianca” in questo senso sta ad indicare proprio la volontà di ripartire da zero, scatterando potenzialità.
Nel percorso di mostra questo ha portato alcuni artisti a riscoprire un fare consolidato, ma guardandolo con occhi nuovi. Da questa istanza prende forma l’opera di Karin e Peter Spiegel, di Irmela Rock, di Venanzio Manciocchi o il Cervo di Anne Marie Frank.
Quest’ultima presenta un’incisione nascosta nei profili di una sinopia e lo stesso supporto è trattato in maniera quasi anticata, a evocare più la verticalità di una parete che la superficie orizzontale di un foglio.
Jònsson ricalibra il disegno su carta a partire dall’osservazione di alcune farfalle del Museo Geologico di Copenaghen, ma la sua interpretazione non vuole competere con l’illustrazione scientifica anzi, il contrasto tra il tratto flebile della matita e la tempera pastosa tradisce il senso di una sana manualità.
Ludwig Schleicher immortala un luogo di Olevano, il bosco della Serpentara, consueto quanto misterioso; non sappiamo se si tratta della progressione della stessa creatura vegetale oppure di piante diverse. L’essenzialità del tratto basta a sé stessa perché restituisce, con una tecnica antica, l’immediatezza di una polaroid.
Paolo Gobbi incide il cartone, facendo del suo Serraglio un’armatura vacua, protezione del suo supporto, grazie al contatto “fisico” stabilito dal solco tracciato.
In altri casi la libertà del gioco si è conclusa con una ricerca di ordine, simboleggiata dal quadrato. Questo è illustrato dal titolo dell’opera di Gianluigi Bellucci, Segni in-quadrati, dove le libere intuizioni dei tratti sono letteralmente “orchestrate” dalle tre forme piane.
Anche altri artisti hanno risolto le loro intuizioni in una forma regolare, giocando il più delle volte a incasso. Le opere diventano così un teatro, un invito a guardare attraverso: nelle textures di materiali (Di Laora, Pollidori, Del Brocco), o nelle pieghe/fessure della propria biografia, come fa Giovanni Reffo.
Teatro di scenografie preziose, ma precarie, è la formula scelta da Yun-Jung Seo.
Daniela Quadraccia presenta una matrice trattata con olii e nylon, una tecnica che strizza l’occhio alla grafica per la presenza di colori quasi solarizzati; ma questo solo in apparenza, perché la superficie è trattata per lacerazioni e bruciature.
Completiamo questa rassegna con un ultimo gruppo di artisti che hanno scelto di declinare la carta in una forma installativa.
Gianluca Murasecchi propone una sculto-matrice, ovvero una scultura che reca sulla superficie dei segni in negativo che la incidono; il materiale moderno di sintesi avvolge la struttura di cartapesta alla sua base.
Sulla scia del ricordo le riflessioni sviluppate da Mario Ricci e Loredana Manciati.
Il primo rinnova la cartapesta come forma del plasticare legata all’infanzia: dalla scultura infatti affiorano giochi, calchi di piccoli animali e altre tracce che, proprio per il fatto di essere personali e forse lontani nel ricordo, emergono appena agli occhi.
Gli Istanti Sospesi di Loredana Manciati al contrario, sono quelli della vita di tutti i giorni, momenti fatti di incontri anonimi e non, salvo essere tutti irrimediabilmente assorbiti nella spirale del tempo.
Alfredo Moroncelli, come un moderno Marco Polo, viaggia idealmente verso l’Oriente: si ferma in India dove incontra Alain Daniélou e le sue riflessioni sullo Shivaismo, antica religione indù e culla potenziale dei culti seguenti. Per questo la scultura in cartapesta è volutamente indefinita, una matrice all’origine di definizioni teologiche successive. Fotografo è il norvegese Oddvin Horneland, che con la sua polaroid fissa immagini di manifesti usurati dal tempo e dall’uomo.
Natallia Sitkevich parte dalla fotografia, che seziona e ricompone. Ma il “collage” vero e proprio è attuato dall’obbi.ettivo che mette a fuoco epidermidi differenti -plastica, corteccia vegetale e pelle umana-, costringendole a giacere su una superficie comune.
Carta in gioco sembra aver illustrato a questo punto non tutte, ma certamente alcune delle declinazioni di quello che, all’origine di questo percorso, era “solo” supporto.
Chiude idealmente il percorso Franco Nuti, che fa della sua Carta Bianca il pretesto per un incontro vis-à-vis, la protagonista prima di una performance.